Ok, fino all'ultimo in Casasonica a mixare la nuova sigla di Patchanka, la trasmissione del pomeriggio ripetuta dal network di radio Poloplare, poco tempo per fare la valigia al volo, smadonnare perché le cose che servono quando servono di corsa giocano sempre a nascondino e via sul taxi per l'aeroporto. Destinazione Londra - Camden town - Randalph street: the Exchange, lo studio dove seguirò il mastering di "Controllo del livello di Rombo".
Questa volta il grande Mike Marsh ci sarà e non ci troveremo con un tecnico-riservista come per l'ultimo mastering. Parto con la solita Elena della Mescal, anche lei trafelata poiché appena rientrata da Tunisi e decolliamo con il comodo volo notturno. Nello zaino "Emilia Parabolica" di Massimo Zamboni, acquistato in libreria al volo per il viaggio. All'aeroporto di Stunsted incontreremo Marco Capaccioni che ha deciso di aggregarsi per venire a ficcare un po' il naso all'Exchange e per supervisionare il tutto. Ha lui i vari master e backup del caso. Viaggia con il frutto di cotanto lavoro custodito in valigetta nera dai bordi metalizzati, modello portavalori a cui manca giusto la catena da polso. So che saprebbe uccidere chiunque osasse insidiarla. Appena arrivati in albergo, verso l'una di notte, ora locale, leggiamo subito la notizia della sera riguardante una presunta cellula terroristica sorpresa in un appartamento nord - londinese - giusto giusto dove ci troviamo - in possesso di non meglio specificate sostanze tossico-nocive. La notizia si rivelerà una bufala il giorno successivo (come tante altre diffuse ad hoc per creare panico e consenso sulla guerra) ma sul momento ci guardiamo come per dirci: "beh, sogni sereni, allora".
Ci svegliamo con la neve. Detto così non fa effetto, tranne che per il fatto che a Londra ci risulta non nevicasse da una dozzina di anni.
Colazione. Taxi. Studio.
Su un vecchio diario di bordo risalente al Dicembre del 2001 ho già descritto ampiamente the Exchange e non mi dilungherò oltre, ma a questo giro, sentendomi un po' più in confidenza con l'ambiente, faccio più caso all'atmosfera e ai ragazzi che ci lavorano. Piuttosto giovani e dall'aspetto parecchio sveglio, con abbigliamento trasandato di derivazione più hip hop-techno-drum'n'bass che non rock. E difatti i suoni che provengono dalle differenti sale sono molto elettronici e pulsanti. C'è un clima molto rilassato, amichevole e per nulla formale. Un po' stupisce sapere che molti nomi altisonanti sono passati da quei corridoi con vecchi divani sgualciti, in una città che ha tendenze piuttosto sofisticate ed eleganti quando non monumentali in fatto di music biz. Comunque mi piace sapere che il nostro sound passa anche da lì.
Arriva Mike Marsh, saluta, rompe il ghiaccio parlando della neve (mazzalo, come mi è venuta questa!) chiede se vogliamo un the o un caffè e ci introduce nell'oramai solito studiolo. Mike fa un primo ascolto di tutta la prima facciata e appunta diligentemente i titoli in italiano. Poi incomincia a smanettare. Io mi rilasso perché tanto so che in quella stanza, senza nessun accorgimento acustico, ci può capire qualcosa solo lui. Marco impallidisce, esattamente come me la prima volta, io sghignazzo.
Il metodo di lavoro di mr. Marsh, ovvero colui che ha masterizzato Chemical, Massive, Prodigy, Depeche Mode etc etc, consiste in una comparazione costante tra i pezzi già trattati e quelli ancora in fase di mastering con un alternanza talmente rapida da mandarti fuori di testa. Questo procedimento fa sì che i brani abbiano una fluida continuità di suono. Rimaniamo lì una dozzina di ore mentre il tecnico intervalla i brani con un "it sounds pretty good!" attendendo la nostra levata di pollici.
Usciamo verso le dieci e trenta di sera e tentiamo una sortita nella china town londinese per cercare ristoranti aperti. Al termine un minimo di passeggio digestivo e poi in albergo a sprofondare.
Nuovamente svegli alle nove e nuovamente in studio, rivediamo alcune cose del giorno precedente e finiamo la parte di mastering per concentrarci sui tagli tra i brani. Optiamo per la continuità, legando i brani l'uno all'altro e riducendo le presentazioni al minimo. Un "live" di flusso senza tante menate autocelebrative, tutto incentrato sulla musica. Del resto anche nei concerti le presentazioni sono spesso unicamente funzionali ai cambi di suono e per dirla tutta non sono nemmeno da scolpire nella pietra ad imperitura memoria. La scaletta simula un concerto virtuale. Nel senso che i brani non sono stati eseguiti in quell'ordine ma seguono un criterio ben preciso. Il primo lato più intimamente subsonico, con brani piuttosto dilatati, tesi e martellanti - ovvero un aspetto che solo chi frequenta i concerti conosce molto bene - e l'altro più groovoso, aperto ed improntato sulla dance.
Ad un certo punto sentiamo la stanza tremare a mo' di sisma, probabilmente per il passaggio di un treno della metro: d'istinto chiedo a Marco: "hai lasciato una copia in studio di tutti i mix?" e lui mi risponde che sì, certo che l'ha fatto, che non si sa mai. Realizzo che in tutte le ipotesi di disgrazie di qualsiasi tipo la mia reazione è sempre stata "boh, se deve accadere accada e arrivederci!", tranne quando c'era in ballo la musica. Allora mi sono sempre premunito (anche quando della musica che facevo non poteva fregare di meno a nessuno) di fare in modo che non potesse andare persa in alcun modo, anche piantando giù corna su corna ipotizzando le peggio disgrazie. Uno dei pochi pensieri adulti anche quando ero pischello pischello.
Ad ogni modo, questi erano i pensieri sonnolenti e sprofondati nel divano di Randalph street in Camden Town. Alla fine della giornata lavorativa, con le orecchie fuse per i volumi tenuti da Mike, dò un appuntamento ad un amico d'infanzia da tempo diventato una specie di banchiere o mega manager della city. Strade ovviamente molto diverse le nostre da quando avevamo formato il primo complesso, ma un grosso piacere nel ritrovarci. Lui mi racconta della sua fidanzata russa fotoreporter di guerra, della sua preoccupazione per l'imminente partenza per l'Iraq, io gli racconto un po' di fatti miei e con Marco ed Elena dopo un po' di birre ci divertiamo a raccontare a turno i passi e le motivazioni che ci hanno portati a vivere nella musica. Ricostruzioni spassose di ingenuità accompagnate da volontà ferree. Mi fa venire in mente una frase letta una volta su Label. "L'ingenuità è la forza che fa avverare i sogni" o qualcosa di simile. A sentire tutti i nostri resoconti mi accorgo di quanto sia vero.
Ad un certo punto Marco si alza e va a chiacchierare con un capellone seduto al tavolo vicino. Si tratta del bassista di una band di Manchester, conosciuto in quel di Arezzo Wave. Il suddetto bassista ci invita ad un concerto dei suoi amici Jackie O in un pub di Camden, lì a pochi passi. Ci andiamo. Il cartellone prevede diverse band sul palco, difatti sul marciapiede incrociamo variopinti personaggi che spingono carrelli da supermercato pieni di chitarre effetti e amplificatori. Il locale è un pub, ma da una porta sul retro, che fatichiamo un attimo a trovare, si può salire una scala e accedere alla sala concerti. Inglese in tutto e per tutto. Buia, fumosa, moquettata impregnata di odori stantii e trasudante rock'n roll. Dei Jackie O devo aver letto qualcosa che non ricordo sulle riviste italiane. Sono un trio con sezione ritmica femminile e personaggio maschile con ciuffone e chitarra semiacustica al microfono. Suonano piuttosto male, scordati e parecchio fuori tempo, davanti ad una cinquantina di persone la metà delle quali impegnata a chiacchierare e tracannare birra, ma il tutto risulta coinvolgente.
Magie britanniche. Ovviamente tra le poche persone presenti una ragazza con taccuino, una manager (di Badly D. Boy) e tutto ciò che permette ad una formazione squinternata fotografata in un evento tutt'altro che indimenticabile di far parlare di sè in tutto il mondo. Se penso al culo che si devono fare le giovani formazioni rock nostrane, per riuscire ad avere un minimo di continuità nelle proprie passioni, per poi essere spesso snobbate dal cervellone di turno che decreta troppo mainstream le band che devono riuscire a suonare davanti ad almeno qualche centinaia di persone a sera giusto per sopravvivere, mi scappa un po' da ridere. Penso ai loro concerti, alla compattezza necessaria ad affrontare ogni genere di palco, alla qualità necessaria per emergere in un Italia piuttosto pigra nei confronti di certe sonorità, e trovo il tutto un po' ingiusto.
Penso anche ad esempio a come mi piacevano i Jesus and Mary Chain e però a che pacco insostenibile fossero dal vivo. Penso invece alla concretezza di Vedena, One dimentional man, Perturbazione e tanti altri pronti ad essere crocifissi da qualche fenomeno solo perché aderiscono a festival giudicati eccessivamente "popolari" come il Tora tora e capisco da dove nascono i molti handicap della nostra scena musicale.
Sono completamente fuori tema, come mi succedeva alle medie. Abbandoniamo Jackie O mentre il cantante sull'ultimo pezzo rotea la semiacustica in feed-back, si vede che vorrebbe romperla ma evidentemente non ritiene l'evento sufficientemente all'altezza e risparmia la sua bella Gibson semi-acustica (io ringrazio poiché, benché storico fracassatore di Fender, non avrei retto allo strazio) e guadagniamo l'uscita. Elenamescal è già rientrata in albergo, il mio amico ha un aereo andata e ritorno in giornata per Milano a causa di qualche riunione delle sue e io e Marco dobbiamo decidere che fare. Freddo fa freddo, stanchi siamo stanchi. Ganci non ne abbiamo. Decidiamo di considerare Londra una piccola Città di Castello e di farci un bel giro, alla peggio ci perderemo in chiacchiere come al solito. Taxi. Soho. Soho è un quartiere piuttosto turistico, pieno di locali. Londra di questi tempi è spenta (se paragonata a se stessa anche solo un paio di anni fa), viene da pensare che l'imminenza della guerra e il conseguente clima di preoccupazione influiscano non poco.
Comunque ad un certo punto passiamo di fronte al Barrumba. Notiamo una discreta coda d'ingresso, ci incuriosiamo, leggiamo drum'n bass e in cima all'elenco dei set "Grooverider". È fatta. Di lì ad un quarto d'ora siamo già in pista, incuranti della sveglia impietosa che ci consentirà il giorno dopo di visitare alcuni studi indipendenti, incuranti della nostra condizione di quasi quarantenni che da stasera guadagnerà una nuova definizione. "Sai Marco tra non molto saremo piuttosto quarantenni, ma io anziché quarantenni quarantenni, ci definirei quarantenny, con la y. Come la vedi?"
in attesa che il nostro simpatico savoy cartel torni in pista roger rama e boosta si divertono insieme sabato notte ai docks home, a torino,in via valprato......eccheaggiungere........
I concerti di capodanno.
Due, anzi due e mezzo. Una settimana di prove in sala, considerando anche alcune variazioni sui pezzi e l'inserimento del quasi inedito "Modulation" (presente sulla compilation scaricabile in rete loser#3), ci ha ricordato che suonare su un palco è sempre tutta un'altra storia. A meno che tu non sia un gruppo di fusion con gli strumenti saldamente posizionati sotto il pomo di adamo in posizione super tecnica, o un gruppo di liscio seduto con gli spartiti di fronte oppure una qualche band esistenzialista che suona rimirando la punta delle proprie scarpe. Insomma se sei abituato ad agitarti un attimo più del dovuto sul palco, la sala prove ti serve fino ad un certo punto. Di qui l'idea di allestire un concerto post-natalizio come regalo per gli amici in un locale molto in zona murazzi. Giancarlo bis. Ad orario aperitivo. Così, dall'oggi al domani, seguendo un breve e circoscritto passaparola, come dono per gli amici, per molti di quelli che ci hanno sostenuti fin dal principio - principio. In una Torino sotto i fiocchi di neve e in un clima da rave piuttosto intimo. Ed è stato un bene, in primo luogo caricarci dell'affetto di persone sempre vicine, e poi per mettere subito in piazza alcune svanverate successivamente risparmiate agli spettatori paganti dei concerti successivi.
Pordenone: partenza il giorno precedente per poter provare un allestimento con un buon margine di coordinamento tra luci, scaletta, messa a punto dei suoni. Insomma non sta partendo un tour vero e proprio, non ci sono particolari scenografie, ma le cose vanno curate anche a costo di spendere qualcosa in aggiunta per affittare il palazzetto un giorno in più. I ricordi legati alle primissime esibizioni di ogni tournee sono sempre piuttosto inquietanti e l'impegno perché il tutto fili al meglio possibile è grande.
Modulation - Come se - Albascura - Colpo di pistola - Onde quadre, in sequenza una dietro l'altra, rendono bene l'umore piuttosto acceso che ci portiamo appresso. Vengono esclusi brani che al momento non abbiamo molta voglia di suonare, inclusi alcuni singoli storici, si procede con Nuova ossessione - Depre (con uno special finale tratto da "Out of space" brano space-reggae presente in un disco di Lee Scratch Perry, campionata successivamente dai Prodigy) - Dentro i miei vuoti - Nuvole Rapide - Liberi Tutti - Preso Blu (in una versione più asciutta del solito) - Il cielo su Torino - Aurora Sogna - l'Errore - Perfezione - Sole silenzioso - Cose che non ho - Radioestensioni. Un concerto un po' più breve del solito (diciotto i pezzi, due i brani in meno della precedente scaletta) per evitare di restare completamente senza energie, dati i sei mesi di mancanza dal palco e la doppia data consecutiva.
Siamo soddisfatti della compattezza di suono addirittura superiore a diverse date del tour precedente, anche se la necessità di concentrazione poteva far rimpiangere qualcosa dal punto di vista del coinvolgimento fisico. Non manca qualche variazione impazzita, qualche scampolo di testo in libertà ma nulla di tragico. Il pubblico è attento e molto presente. Al termine del concerto in una tenso-struttura nel centro di Pordenone incontriamo amici, ragazzi del pubblico e frequentatori del sito, che ci garantiscono una gran bella impressione. Gente che di date ne ha viste tante e che non risparmierebbe certo critiche. Nella festa come sempre scappa qualche bicchiere di troppo da rimpiangere il mattino successivo.
Si pranza nel centro antico di Pordenone, in un vecchio ristorante e si parte per Modena sotto un cielo che non promette nulla di buono. E continua a piovere fino in Emilia. Fa buio presto. Arriviamo nella piazza del concerto ancora sotto le gocce e ci prepariamo al sound-check. Davanti alle transenne c'è già un po' di gente. Alcuni sono Modenesi di passaggio di età variabile, incuriositi dal palco e dalla musica. Altri invece, già bagnati, sono irriducibili che qui vogliamo ringraziare, giunti da ogni parte d'Italia, sud compreso. Il sound-check è allegro anche per questo. In un angolo della piazza è già partito lo spettacolo pirotecnico di alcuni ragazzi che accendono raudi e li scalciano temerariamente al volo. Giusto per non dimenticarci che quello di stasera sarà il concerto di Capodanno. Damir Ivic, giornalista del Mucchio e Mezcal, opinionista del sito vengono a salutarci in quanto locali e oramai amici.
Si cena in tavolate enormi, tra musicisti tecnici fidanzate parenti, oramai anche qualche neonato di tecnico che in giro con noi ha conosciuto anche l'anima gemella. Sembriamo uno di quei meravigliosi complessi africani che sciamano per il mondo dei palchi e dei backstage in variopinta schiera abbracciando più di quattro decenni di vita. Non c'è tempo per passare da un albergo per cambiarsi e quindi tra furgone, tenda camerino e cessi chimici a bordo palco ci prepariamo mentre sul palco iniziano a suonare i Mambassa.
La piazza nonostante la pioggia è molto affollata. L'accoglienza è ottima anche per i braidesi.
Ad un certo punto Max con aria furbetta sale a bordo palco gesticolando in modo complice con Talu in veste di fonico di palco e mandando nei monitor del gruppo di supporto una registrazione scherzo effettuata ai murazzi tre sere prima. Si tratta della voce di Peppo Parolini, storico personaggio della devianza torinese degli anni sessanta, una sorta di beatnick inossidabile che a ragione o torto viene considerato un virtuale presidente della ancor più virtuale repubblica dei murazzi. Insomma uno che quando è in vena ne ha per tutti. E giù quindi insulti preregistrati ai Mambassa che rimangono impietriti, sotto il gracchiare della voce dell'arzillo settantenne che gliene tira giù di tutti i colori. Solo che Max e Talu per non sbagliarsi hanno alzato troppo il volume, tanto che alla fine i vari "fate schiiiifo tanto puzzate di staaallllla campagnini che non siete altrooo da stasera a modena non si respiiiiiira piùùùù!" rientreranno nei microfoni e verranno ascoltati anche dal pubblico. Dietro il palco noialtri si ride a crepapelle, sotto il palco partono anche degli applausi. Morale i Mambassa ripartono e chiudono molto graditi dal pubblico che alterna l'apertura degli ombrelli e l'innalzamento dei cappucci a seconda dall'intermittenza della pioggia.
Tocca a noi, le dita sono ghiacciate, ma l'atmosfera è accogliente e quindi si parte. Ci scaldiamo man mano che il concerto sale. A mezzanotte, dopo "dentro i miei vuoti", il presentatore Steve Giant, personaggio conosciuto nel circuito reggae della laguna veneta, strillando come un matto e allungando vocali come un telecronista brasiliano, introdurrà il sindaco di Modena per il count-down di rito. Non è nostra abitudine affiancarci sul palco a figure istituzionali, ma il timido Samuel è talmente sollevato dal non doversi occupare in prima persona del dieci-nove-otto.... che va bene così. La piazza si trasforma in un una trincea del 15-18. Noi dietro il palco siamo impegnati a preparare bottiglie e bottiglioni e nel turbinio della mezzanotte ci abbracciamo augurandoci senza nemmeno bisogno di dircelo quanto di meglio per tutto ciò che dovremo ancora vivere insieme. Un disco, molte cose da sistemare, molte da combattere per evitare che il cosiddetto "attuale gruppo di successo" diventi il prossimo effimero gadget dell'usa e getta, secondo percorso che fino ad oggi non ha praticamente risparmiato nessuno. Molto da compattare, e da brindare. E da brindare ancora, tanto che alla fine saliamo sul palco barcollando. Alcuni di noi a stomaco vuoto, con un bicchiere di vodka antigelo in corpo più imprecisate golate e bicchierate di spumante champagne o quello che era, alla fine barcollerà anche l'intro di "Nuvole Rapide", con Samuel che sbaglierà clamorosamente i giri dell'ingresso e tutti gli altri che ridendo cercheranno di metterci una pezza. L'effetto durerà per due o tre pezzi, dopodiché partirà un bel finale in crescendo al quale verrà aggiunto per l'occasione anche "Tutti i miei sbagli". D'accordo che non vogliamo diventare un gruppo juke-box e che decideremo da ora in poi le scalette in base alle caratteristiche delle nostre fasi artistiche e umorali. Però è capodanno e ci sta tutta.
Da segnalare il singolare lancio dal pubblico sul placo di un branzino e un'orata freschi prontamente raccolti dagli attoniti backliner Tony e Raffa. Finisce bene, la gente è rimasta tutta a sfidare il maltempo e si è molto divertita. Una dedica ad Emergency alla quale verrà destinata parte dai proventi del concerto e un ringraziamento al comune di Modena per l'invito e si parte per una doccia prima del prosieguo della festa.
Festa che continua in un enorme complesso di capannoni in località Ponte-alto. Tre sale per differenti generi, una delle quali gestita dalle selezioni di Boosta e Samuel. Tanto imponente la struttura, quanto invece difficoltoso per la gente l'ingresso, inspiegabilmente imbottigliato in un corridoio stretto posto per giunta di fronte al guardaroba. Ce ne accorgiamo tardi visto che siamo entrati dal retro. E che dopo un po' fra stanchezza e brindisi in realtà non ci accorgiamo più di nulla. Qualche buontempone con un pennarello disegnerà sulla porta del frigo dei superalcolici della zona backstage, con la sbarra obliqua stile divieto, un eloquente "Ninja non farlo!"
Visto che avete deciso di portare tigna alimentando inattendibili voci di scioglimento domani arrivera la befana Sifona a portare carbone per tutti. Lo spettacolo offerto da Simon e associati è sconsigliato ad un pubblico non adulto o facilmente impressionabile, a dirla tutta è sconsigliato e basta. a domani sul diario di bordo.
Visto che siete stati cattivi nel credere prima e nell'alimentare poi ,notizie menasfiga riguardanti un nostro ipotetico scioglimento, abbiamo deciso di far volare in rete la Befana Sifona proveniente da Città di Castello. E sarà molto peggio del carbone.
La visione è sconsigliata ad un pubblico non adulto o facilmente impressionabile. In pratica è sconsigliata e basta.


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