C’è una fessura in fondo al cuore
Luogo, senza nessun pericolo
Caldo, rifugio dal dolore
è bellissimo.
Tra le stelle di questa stanza ti ci puoi perdere, tutte delicatamente appoggiate sul pavimento, ferme, pronte per essere calpestate.
Il buio le rende vive e sembra quasi che compiano un lieve movimento per nascondersi sotto il letto.
Sento un dolore fortissimo sulla schiena appena sotto il collo e non ho più un filo di voce, ma questo paesaggio stellare rapisce i miei pensieri.
Stacco la guancia dal bordo del letto, libero le mie gambe annodate nei cuscini e finalmente mi alzo.
Mi immergo nei segreti di questa stanza avvolta nel buio, calpestando il firmamento disegnato sulla moquette, apro le tende e scopro che nella camera attigua c’è una fantastica poltrona per massaggi.
Se solo l’avessi vista prima!
Molto probabilmente la mia schiena non urlerebbe di dolore, e questo risveglio non sarebbe così difficile.
La realtà mi assale e tento di scacciarla girandoci intorno, schiacciando a caso, tutti i pulsanti della poltrona, accendendo le due tv, la radio ed il computer, in somma tutto ciò che può non farmi pensare, che non ho più un filo di voce.
Non riesco nemmeno a parlarmi allo specchio, come faccio tutte le mattine per chiedermi come sto. Mannaggia.
Allora Ficco tutto dentro una piccolissima fessura che porto nel cuore, in grado di anestetizzarmi, cancellare il fatto che sto navigando a vele spiegate verso la disfatta, il momento in cui dovrò salire su quel palco senza l’ausilio della mia voce.
La doccia scorre via lenta , la faccio durare il più possibile, mi vesto e scendo.
L’albergo ha una atmosfera completamente surreale, ci sono una decina di pianoforti a guardia dell’ingresso, lampade a forma di saxofono, rullanti usati come tavolini e una nuvola di notine musicali che volteggiano nella hall.
Tutta la retorica del design musicale radunata in una stanza, senza tenere conto del fatto che per uno come me tutti quei tasti da schiacciare e pelli da percuotere sono una tentazione irrefrenabile.
Infatti quando gl’altri scendono ho gia esaminato tutti gli strumenti suonabili e non, ho già fatto finta di essere un famoso pianista, saxofonista, batterista e via dicendo mimando con la faccia, lo sforzo e il sentimento di difficilissimi assoli jazz, in pieno mr. Bean stile.
Siamo a Perugia e questo hotel fa parte di una serie di luoghi prescelti per ospitare i concerti di Umbria Jazz ed è anche fornito di un ottimo ristorante che testiamo immediatamente.
Cerco di nascondere l’inquietudine che serpeggia dentro per non rovinare il risveglio dei miei soci ai quali troppe volte ho fatto pesare i miei deficit vocali, anche se questo mi sa che li batte tutti il pranzo è ottimo.
Saliamo in camper e dopo alcuni istanti m’ isso in mansarda con l’agilità di mio nonno, mi distendo e riprendo l’incubo che avevo interrotto.
Il più brutto di tutti, uno di quei sogni in cui devi scappare e non hai le gambe, oppure urlare e non ti trovi la bocca, o dove devi fare una cosa che generalmente fai senza grandi problemi ma sei congelato in un senso di immobilità inspiegabile, ti sforzi ti divincoli fai di tutto e quando arriva il momento… niente!
Dopo un sognante viaggio, attraverso tutti i gironi del mio personalissimo inferno mentale, mi sveglio.
Mi accorgo che stiamo attraversando l’Appennino umbro, scavalco il Ninja che nel frattempo si è steso vicino a me, e mi piazzo davanti alla finestra in silenziosa ammirazione del paesaggio.
Questo mi ricorda gli innumerevoli concerti fatti in questa zona dell’Italia all’inizio della nostra avventura, le nottate passate in compagnia di persone che generalmente reclutavamo tra il pubblico, all’epoca veramente piccolo, per scoprire un paese che, avevamo la fortuna di poter vedere da così vicino.
Ricordo che una sera dopo un concerto, siamo finiti tutti quanti in spiaggia, e stesi sulla sabbia, abbiamo iniziato a scommettere sul nostro futuro.
Ivan che, ha sempre creduto in noi scommise che si sarebbe tagliato i suoi lunghissimi capelli alla, Eddie Wedder se entro la fine dell’anno avessimo superato le 50 mila copie vendute.
Bravo!
Ne avevamo vendute appena 3.500 ed eravamo a settembre, a meno che gl’U2 non ci avessero contattati per una collaborazione sarebbe stato alquanto complicato.
Ma nonostante le scarsissime vendite dei nostri dischi, la cosa che ci animava era partire per nuove avventure, anche se sottopagati e in 8 su un furgone scassatissimo che si rompeva ad ogni curva.
Affogo i pensieri in questi ricordi, mentre la fessura comincia a pulsare.
Arriviamo a Roseto, dopo un paio di foto e autografi con alcuni ragazzi che ci aspettavano lì davanti entriamo e ci concediamo una brevissima prova suoni.
La mia piccola fessura a questo punto non regge più ed inizia a vomitarmi addosso tutto.
Inizio cosi un riscaldamento vocale interminabile, cercando di capire come poter utilizzare al meglio quel sottilissimo filo di voce che mi è rimasto.
Pensare in quali parti del concerto posso lasciarmi andare e quali invece richiedono tutta la concentrazione possibile, so per certo che due o tre acuti non riuscirò a farli. Dovrò inventarmi qualcosa!
Come un condannato a morte percorro il corridoio che ci porta dietro al palco e ci uniamo nell’accrocchio il movimento che facciamo insieme prima di ogni concerto per armonizzarci prima di salire sul palco. Momento in cui m’ impossesso delle energie dei miei soci per poi scatenare l’inferno.
E’ ora!
Dopo i primi quattro pezzi la mia gola regge, mando una benedizione a quella santa donna della mia insegnante di canto che quando ero piccolo mi insegnava come cantare senza affaticarmi, cose a cui non davo molta importanza all’epoca, ma che ora mi sembra miele che cola dal cielo.
M’ invento qualche finto contatto sul microfono in occasione di un acuto bastardissimo, e chiedo al pubblico di cantare al posto mio due o tre volte.
Ci tengo a precisare che il trucchetto del contatto microfonico l’ho inventato io, e solo per questo merito il perdono.
Comunque sia il concerto finisce.
Non so ancora come sono riuscito a non fare la figura del ranocchio, il mio cuore e tornato a battere regolarmente e la fessurina si è richiusa miracolosamente.
Non oso nemmeno pensare a come mi alzerò domani, mi faccio recapitare in albergo, che sta proprio davanti al mare, ed ogni volta che vedo il mare mi rianimo succede qualcosa in grado di cambiare il mio umore, sento un caldo dentro che in questo momento mi serve tantissimo.
Allora lancio la mia borsa a Ivan e mi fiondo in spiaggia per vederlo da vicino e toccarlo, con me c’è il fido ”PADELLA” il mio nuovo telefono che fa anche da ipod, chiamato cosi per le sue dimensioni, con i Radiohead a palla.
Faccio il carico di iodio e di felicità, e rientro.
Sulla spiaggia incontro anche due ragazze, devono aver osservato il mio giretto notturno e stanno pensando che sono matto, ma mi sorridono e questo mi basta, le saluto e raggiungo il mio letto.
Domani si suona ad Andria e so perfettamente che non riuscirò a ripetere il miracolo
So perfettamente che non basterà scavare nei ricordi della mia tecnica vocale per portare a casa il concerto.
Metto cosi la mano all’altezza del cuore ed inizio a massaggiare la mia fessurina. Domani le aspetta una dura giornata.
L’amico di PADELLA
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