Terni, 25.04.04
Il festival umbro cinema e lavoro, giunge quest’anno alla sua seconda edizione.
Mario Sesti, critico e nuovo direttore della manifestazione, ci contatta per averci in qualche forma ad una conferenza sul cinema di Elio Petri e in particolare sulla figura di Gianmaria Volontè. Ovviamente la versione live di “indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” con tanto di proiezioni e di presenza filmata dell’attore, è il motivo della richiesta.
Sesti è talmente sorpreso dall’interessamento di una band, di generazione non sospetta né implicata in alcun modo con il periodo storico di Petri, alla sua cinematografia che decide di invitarci a discuterne in pubblico con il mitico Ugo Pirro ed eventualmente sonorizzare qualche spezzone del film.
Questioni di tempo e preparazione del nuovo album complicano un po’ le cose, così decidiamo di far scendere Max con al seguito la band che al momento in Italia ha probabilmente più dimestichezza con l’argomento: i cagliaritani Sikitikis, giusto giusto impegnati in Casasonica.
I Sikitikis stanno preparando il loro primo disco a Torino seguiti da Ale Bavo e supervisionati da Max. Hanno già coverizzato in due anni di attività molto materiale di colonne sonore. In particolare il Morricone del periodo Petri-Volontè. La formazione e il produttore si presentano dunque il 25 Aprile nella sala Fiamma di Terni per il check e i convenevoli. Sarà un’emozione per tutti conoscere Ugo Pirro, ottantenne, storico sceneggiatore di “Indagine”, “Todo Modo”, “A ciascuno il suo”, “La classe operaia và in paradiso”.
Vengono proiettati alcuni spezzoni di queste pellicole montati per l’occasione da Sesti, che i Sikitikis sonorizzano in diretta. Riuscendo a elaborare con rispetto pur attualizzando temi e sonorità. Un lavoro ben riuscito e molto apprezzato dal pubblico in sala. Incomincia successivamente l’incontro, sempre sullo stesso palco. Presenti il regista Mimmo Calopresti, Mario Sesti, Max e Ugo Pirro. Incomincia a raccontare proprio quest’ultimo ed è un bel ascoltare. Racconta di come prima del sessantotto la censura fosse un problema drammatico. In pratica più che scrivere sceneggiature si passava il tempo a tentare di eludere la censura senza rinunciare a temi importanti e scottanti. Un enorme sforzo a detta dell’anziano e lucidissimo scrittore. E’ probabile che proprio questi sforzi abbiano reso il loro lavoro così adulto e così indelebile. Di fronte a queste testimonianze, così come di fronte all’intensità di Volontè, alla complessità del lavoro di Petri (lo stesso vale per la letteratura di Sciascia), si ha l’impressione di essere al cospetto di una generazione di padri. Padri appassionati che tra loro litigavano anche furiosamente, venendo più volte anche alle mani, secondo gli incredibili ricordi dello sceneggiatore. “Volontè aveva una straordinaria capacità di immedesimazione con il personaggio che talvolta paradossalmente diventava addirittura un problema. Un problema vissuto anche in termini conflittuali con il regista. E giù discussioni e anche botte” oppure, “non ho problemi ad affermare che la sceneggiatura de la classe operaia va in paradiso, può tranquillamente essere considerata anche opera dell’attore, tante erano le improvvisazioni, spesso impreviste durante i ciack”.
Max, coinvolto per ultimo a raccontare della propria passione per Petri, parla di una cinematografia assolutamente completa. Temi che risentono del periodo di grande tensione sociale e politica, che però vengono trattati in modo quasi universale, tanto da mantenere un’attualità invariata. La psicologia dei personaggi, il tema della follia sempre ai margini, la loro collocazioni negli spazi, nelle architetture, con un senso dell’inquadratura quasi sconosciuto in Italia. In altre parole, benché all’epoca dovesse essere l’ultima delle preoccupazioni, l’estetica. Forse la chiave di contatto che a distanza di più di trent’anni rende quelle pellicole ancora piene di fascino. Le immagini di Petri “suonano” e riescono a fondersi meravigliosamente con temi musicali (Morricone) di grande carattere, riuscendo ad assorbirli e a fonderli in un’ amalgama inscindibile.
Ugo Pirro rimane piacevolmente colpito dal saper che proprio un suo dialogo sia finito nel duemila su un palco di musica pop e visibilmente soddisfatto dal sapere che quelle parole e quelle immagini servivano per invitare ragazzi molto giovani ad una riflessioni sulla brutalità repressiva dell’operato delle forze di polizia nei giorni di Genova. In modo probabilmente più efficace di un comunicato o di un comizio.
A cena tutti attenti a cercare ancora i rubare ancora qualche frammento di quelle preziose memorie, raccontate dalla piacevole e brillante voce di un ultra ottantenne.
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