Londra in queste condizioni psico-fisiche è sempre un po’ uno sbatti perché ti parlano in inglese e guidano tutti in contromano. Dopo un po’ però, se sopravvive, uno ci fa un po’ l’abitudine. Londra, ed è subito fish’n chips, Piccadilly, piazze e strade, ruota panoramica e tutto il lato positivo di un viaggio di “lavoro”. Il tempo di fare tappa in albergo, questa volta un vero albergo, vero, visto che per “Microchip” il lusso del mastering inglese comportava restrizioni di budget al minimo indispensabile per nutrirsi di hot-dog dormendo più o meno in un sottoscala e mi ritrovo subito ad apprezzare i reali vantaggi del discodiplatino. Comunque, la città mi fa dimenticare il sonno e ricominciamo a gironzolare incontrando anche alcuni amici che vivono occupandosi di video-cinema ed affini vivono nella metropoli da alcuni anni. Quindi scattano le dritte per ristoranti e locali.
Che cosa è questo benedetto mastering? Vi chiederete. E’ un’operazione di compressione - equalizzazione - magiaemistero, che viene fatta a mixaggio ultimato per abbellire e compattare il suono di un disco. Perché, in Italia non la fanno? Sì che la fanno e anche piuttosto bene, ma con criteri differenti rispetto alle esigenze di un disco che vada ascoltato con modalità e volumi da club e con un ampio spettro di frequenze. A Londra in particolare esiste l’Exchange, studio dal quale passa la maggior parte della musica, diciamo, dance di un certo carattere. Chemical bros., Prodigy, Daft Punk, ma anche Air, Massive Attack, gli ultimi Depeche Mode ecc. Il mago della situazione è tal Mike Marsh con cui abbiamo lavorato su Microchip emozionale. Questa volta andiamo un po’ alla cieca poiché mr Marsh ha deciso di sospendere per un mese la sua attività. Il nome da lui stesso suggeritoci è Gratsh (o qualcosa di simile ancora mica l’ho capito) Davie. Il propietario.
Quando uno ci arriva per la prima volta, ovviamente, si aspetta chissà che struttura: l’Exchange è considerato forse il secondo studio di mastering al mondo per quantità e qualità di lavori. Pensando di intravederlo già dall’inizio della strada mi sono invece ritrovato a raggiungerne il citofono scavalcando siepi e seguendo fattorini. Gli interni sono, più o meno, al livello di fatiscenza e di “vissuto”, per non dire casinorottamiepolvere della nostra Casasonica. All’ingresso su un cimitero di vecchi registratori vivisezionati ed accatastati troneggia un torsolo di mela ammuffito. Devo ammettere che mi sento abbastanza a casa. La stanza, una delle tante affacciate sul corridoio rivestito da immancabile moquette, non ha altra qualifica se non quella di “stanza”. Un parallelepipedo senza nessuna trappola acustica, rivestimento insonorizzante, r p g, null’altro al di fuori di una piantina (morta) e di un vecchio divano. Oltre, ovviamente, alle apparecchiature necessarie che si ritrovano accatastate al centro dello spazio. C’è anche un macchinario per la stampa su vinile che aumenta il fascino vintage della situazione.
Il tecnico in questione è un gioviale quarantacinquenne con panza prominente, t-shirt Ibiza e tratti somatici indostani. Ci prega di attendere il termine di alcune operazioni di cablaggio e del suo misterioso bricolage con cacciavite in una mano e vassoio in rame più presa elettrica nell’altra. Scorgendo la nostra curiosità subito ci mette al corrente con tono spiritato e complice, del suo gran trafficare. ”Sono stato di recente ad una festa, sebbene non invitato, nello studio dei pink-floyd costruito in un battello e vi ho riscontrato una grande armonia. Il segreto era l’acqua, che trattiene l’elettricità statica e le cattive vibrazioni. Noi oggi avremo acqua e grande armonia.” Detto questo va in bagno riempie il vassoio e lo attacca alla corrente. Io, prevedendo il black-out conseguente al corto circuito mi irrigidisco un attimo cercando lo sguardo perplesso di Elena. Non succede nulla, il matto aveva costruito probabilmente un rudimentale ionizzatore e si apprestava a distribuire quarzi (proprio pietre) sulle varie macchine staccando la corrente dalle prese alle apparecchiature inutilizzate. “Così ora concentriamo qui tutta l’energia necessaria, con che pezzo iniziamo?”. Una maschera di terrore si impadroniva dei nostri volti, con un angolo della bocca mi ritrovavo a sussurrare in un italiano di complicità “se questo si toglie le scarpe e si spara la posa del loto me ne vado”. Gli consegniamo il materiale e ci apprestiamo a trascorrere una giornata di grande perplessità anche perché il bizzarro pretende di lavorare senza l’ausilio delle lampadine. Altro che acqua e armonia.
La tensione però svanisce nel momento in cui Gratsh o Grad o Grass incomincia a mettere mano su alcuni vecchi equalizzatori a pomelloni che probabilmente appartengono all’era del nonno di Paul mc Cartney, ed attacca a masterizzare. Un’altra premessa. La stanza dell’Exchange suona di un male che appena ci ascolti i tuoi mixaggi vorresti piangere. In realtà al termine della giornata arrivi ad avvertire un suono accettabile che mostrerà tutto il suo spessore solo ascoltato in condizioni più familiari. Il nostro bizzarro tecnico lavora molto bene e i brani acquistano calore e profondità. Ogni tanto chiede conferma e una volta per sbaglio invece del consueto “it sounds cool” mi scappa (complice forse lo spot dell’Heinenken) un “it sounds good”. L’espressione gioviale e spiritata lascia immediatamente spazio ad un corrugamento di fronte e ad un aggrottamento di ciglia.”Noi qui non ci accontentiamo di good, deve essere cool, o brilliant o amazing, noi dobbiamo ascoltare la nostra musica immaginando gente che danza tutt’intorno, felice”. Lo rassicuro subito sfoderando alcuni superlativi che ristabiliscono immediatamente la groova dei rapporti. Insomma la giornata termina a tarallucci pacche sulle spalle grandi complimenti reciproci e naturalmente candele. Sempre per via delle energie etc.
Le spaziature tra un brano e l’altro vengono fatte “a mano”, come quando da piccolo preparavo le cassette per le feste mixando con pause e rec. Grass non ama molto il computer, sospettiamo che non abbia mai mandato neanche una mail in vita sua e quindi facendo attenzione a non cancellare la coda precedente, con gli occhi strizzati (vedi mozziconi di candela), creiamo una sinergia composta da me –interruttore della luce, Elena pulsante di Play, Grass play e Rec. Ogni tanto il tecnico che a dispetto del flusso delle energie non ci vede un cazzo, sbaglia ed attacca a ridere come un matto. Comunque ora il disco suona veramente da paura. E ci ha pure fatto un casino di sconto. Brilliant!
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